Il vino cotto è un prodotto tipico del territorio abruzzese. Consumato normalmente come dessert, presenta una gradazione alcolica variabile secondo la tecnica di produzione e il periodo d’invecchiamento. Può essere secco o dolce per la presenza di residuo zuccherino, ma mantiene un retrogusto sapido. Sono caratteristici il colore, che varia dal rosso ambrato al rosso granato, e l’odore intenso. Il mosto appena ottenuto dalla pigiatura di uve bianche e/o rosse viene versato in una grossa caldaia di alluminio o di acciaio inox o di rame (in quest’ultimo va collocato sul fondo un “pencio” di terracotta, per lo più un piatto rotto). La caldaia è posta a bollire direttamente su un treppiedi o su altra attrezzatura idonea sotto cui viene alimentato il fuoco, che deve essere vivo e lento per far sì che il mosto venga a ebollizione e non trabocchi mai dal recipiente, procedendo all’eliminazione della schiuma che viene eventualmente a formarsi. Con la bollitura, oltre alla perdita d’acqua, si hanno trasformazioni che modificano il gusto e il profumo, conferendo al prodotto un sapore e un odore caratteristici. Le tecniche di produzione possono prevedere due metodiche; la prima consiste nell’ebollizione lenta e continua, con la quale si può arrivare a ridurre il mosto del 50-25% del volume iniziale (la percentuale varia secondo la densità di prodotto che si vuole ottenere) fino a quando non produce più schiuma. Il mosto concentrato, così ottenuto, viene lasciato riposare e raffreddare in contenitori di vetro, creta o acciaio inox e in seguito mescolato molto lentamente a un buon mosto di prima spremitura in proporzione variabile: dal raddoppio fino a 5-6 volte il volume del mosto concentrato (chiamato “sapa”). Il tutto è poi versato in una botte di legno, preventivamente trattata con zolfo, dove avviene una lenta fermentazione.
Il secondo metodo consiste nel ridurre, sempre attraverso l’ebollizione continua mai troppo accelerata, fino ad un terzo la quantità iniziale e nel porre il concentrato a raffreddare. Il mosto concentrato così ottenuto, senza aggiunta di altro mosto, viene lasciato riposare in contenitori di vetro o creta o
acciaio e successivamente versato in una botte di legno, preventivamente trattata con zolfo, dove avviene una lenta fermentazione.
Una volta conclusa la fase di fermentazione, la botte si tappa con sughero o altro materiale idoneo. Abbastanza diffuse sono le pratiche della colmatura e rimbocco, fatte unendo il vino cotto di nuova produzione a quello degli anni precedenti. L’invecchiamento in botte di legno deve andare da un minimo di 1 anno fino a 30-40 anni e oltre.
La più antica testimonianza sul “vino cotto” in Abruzzo si trova nella pubblicazione di Filippo Rizzi Memoria sull’abuso di cuocere il mosto del 1811, ma anche lo scrittore inglese Edward Lear, nel suo libro Illustrated Excursions in ltaly (1843-1844) parlando di Carsoli e del territorio circostante scriveva:
“…Ho assaggiato alcuni vini, stagionati per molti anni,che erano di poco inferiori al buon Marsala,…” . Si trattava del “vino cotto”, invecchiato e stagionato (da non confondere con il vino mescolato al mosto cotto che ha una gradazione alcolica più alta e un maggiore tempo di conservazione). Guido
Giuliani nel suo libro Il vino in Abruzzo (1975) scrive a proposito del vino cotto:
“vino da dessert di antica tradizione e di particolare pregio, che si consuma nelle occasioni da ricordare, o quale coadiuvante nella cura del raffreddore e dell’influenza”.
Ancora oggi, infatti, il vino cotto accompagna il brindisi di molti banchetti nuziali.
Come vuole la tradizione, il padre dello sposo offre agli invitati questo particolare vino, preparato alla nascita del figlio maschio e conservato in una piccola botte fino il giorno del suo matrimonio, con un invecchiamento di almeno 25-30 anni, che viene gustato come una delizia dai partecipanti e apprezzato
come bevanda, ottima per facilitare la digestione.